Il rabbit hole è il modo in cui attiriamo l’utente nella nostra storia.
Il nome, come avrete intuito, viene dalla tana del Bianconiglio attraverso cui Alice entra nel Paese delle Meraviglie.
L’esempio più lampante è l’incipit di un libro, quelle righe che ci fanno decidere se acquistare o meno un libro (o analogamente la prima scena di un film). Anche il trailer di un film può essere un rabbit hole.
Attenzione: ci sono film e libri bellissimi il cui incipit non è niente di che. L’importante è che non sia respingente.
A me piace questo:
Incipit Stupori e tremori
Il signor Haneda era il capo del signor Omochi, che
era il capo del signor Saito, che era il capo della signorina Mori, che era il
mio capo. E io non ero il capo di nessuno.
Si potrebbe dire diversamente. Io ero agli ordini della signorina Mori, che era
agli ordini del signor Saito, e così di seguito, con la precisazione che gli
ordini verso il basso potevano saltare i gradini della scala gerarchica.
Per cui, alla Yumimoto, io ero agli ordini di tutti.
Altri esempi di rabbit
hole:
link a un sito
codice qr
meta description
un video
un messaggio in uno spot
un adesivo
guerilla marketing
Un
volantino/brochure/dépliant
Un cartellone pubblicitario
Le prime note di una
canzone
Un’immagine
(Eccetera)
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Il rabbit hole è l’inizio
di un percorso di progettazione.
Il rabbit hole è uno degli elementi strutturali del transmedia storytelling.
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